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IL RUOLO DEI MASS-MEDIA SULLA MIGRAZIONE

di Giacomo Glaviano 03 dicembre 2017

In Italia, in Sicilia in particolare, tutti siamo impressionati e preoccupati per i gommoni e le imbarcazioni stracolmi di extracomunitari che continuano ad arrivare nelle nostre coste. Per molti è “una minaccia per le nostre popolazioni e i posti di lavoro”.




Per migliaia di anni gli spostamenti di popoli per terre e mari hanno caratterizzato la storia umana: migrazioni di vasta portata o locali, di massa o di singole famiglie, un fenomeno che in qualche misura c’è sempre stato. Ricordiamo le migrazioni bibliche verso e dall’Egitto e quelle che sono state chiamate invasioni barbariche. Nei tempi moderni si sono succedute periodicamente verso l’America e poi all’interno dell’Europa alla ricerca di lavoro. Il fermento di mobilità umana nel mondo è stato in piena espansione negli ultimi decenni: ai classici emigranti in cerca di lavoro si sono aggiunte le turbe di chi cerca asilo politico e protezione umana, fuggendo da Paesi devastati da guerre, contrapposizioni etniche e calamità naturali.Spesso nei titoli dei giornali italiani per i migranti si utilizza la parola “extracomunitario” per indicare gli stranieri provenienti da paesi poveri, e anche con accezione negativa: “irregolare”, “vu cumprà”, “nomade”, “zingaro”, “clandestino”, “badante” o “fondamentalista”, quasi sempre musulmano.

A cosa serve etnicizzare nel titolo la notizia? Si danno al lettore delle informazioni importanti per la comprensione dell’articolo o si rischia, inconsapevolmente o meno, di rafforzare in lui dei pregiudizi già presenti. Sono parole che instaurano una sorta di “guerra tra poveri”, alzando muri invece di favorire il dialogo tra le diversi componenti della società. Spesso si utilizzano inconsapevolmente, abituati ad adoperarle non pensando al loro significato profondo e alle conseguenze che possono avere sugli individui. Parole messe in circolo da chi sul rifiuto dello straniero ha costruito la propria identità, soprattutto politica; dichiarandosi antirazzista, rischia di essere subalterno alle paure e ai pregiudizi contro gli immigrati, dando vita a quello che Giuseppe Faso, fondatore della Rete Antirazzista, definisce una sorta di “razzismo democratico”.

Ad utilizzarle non solo giornalisti, ma anche intellettuali e politici, classificando e stigmatizzando in questo modo i migranti e tutto ciò che si riferisce ad essi, sottintendendo razzismo e alimentando intolleranza. Purtroppo nei confronti degli immigrati persiste una visione parziale e riduttiva, quasi interamente schiacciata sulla cronaca nera. Marco Binotto, ricercatore dell’Università “La Sapienza” sostiene che «Le ricerche compiute su questo tema in Italia ed in Europa non lasciano dubbi circa il ritratto fornito dell’immigrazione proveniente dai Paesi del Sud del mondo e dell’Est europeo.

Il triangolo “criminalità-clandestinità-arrivi” riassume la percezione del “problema”. Il fenomeno migratorio viene vissuto come costante “emergenza” e “invasione”». A cavallo tra il XIX e il XX secolo erano gli italiani ad emigrare, inseguendo soprattutto il sogno americano. Dopo il 1960 l’emigrazione dall’Europa decrebbe velocemente e nei primi anni ’70 la rotta dei flussi migratori cominciò ad invertirsi, con movimenti dai Paesi meno sviluppati a quelli industrializzati.
Queste migrazioni internazionali provenivano principalmente dall’Europa orientale, dall’Africa, dal Vicino ed Estremo Oriente, dall’America latina. Una moltitudine di persone cercava riparo da persecuzioni politiche o religiose, o semplicemente voleva avere un’opportunità per costruirsi un futuro migliore rispetto a quello che il proprio Paese d’origine poteva garantirgli. L’Italia, infatti, costituisce una delle mete di questo ingente flusso migratorio, trasformandosi da terra di emigrazione a terra di immigrazione.

La consapevolezza di questo cambiamento non si diffonde tramite una cognizione di causa graduale e positiva: la questione della presenza straniera esplode improvvisamente nel mondo politico, sociale, culturale, del pensare comune e della vita quotidiana del Belpaese. L’effetto “sorpresa” contribuisce a far sì che, nell’immaginario collettivo, l’immigrazione stessa venga ricondotta in primo luogo alla sua dimensione di problematicità; la guerra tra poveri per il posto di lavoro, la marginalità degli immigrati, lo sfruttamento nel capolarato e nel lavoro nero, la delinquenza e i problemi di ordine pubblico.

In sintesi la rappresentazione mediatica ha contribuito a instaurare nei cittadini sin dall’inizio la questione migratoria con toni allarmistici, quasi esclusivamente in termini di “invasione” e “sicurezza”, andando di pari passo con l’agenda politica, che ne parla in termini di “problema di sicurezza nazionale” e “interesse di ordine pubblico”.Certamente il sistema sociale si trasforma e con esso emerge il problema della regolazione della convivenza tra minoranza e maggioranza, ovvero tra immigrati e società d’accoglienza.

A questo proposito comincia già a delinearsi l’uso di specifici termini per descrivere la forma assunta dagli insediamenti delle comunità straniere: Un primo termine, che in realtà appartiene alla storia delle migrazioni del passato, è quello di “colonia etnica”: esso descrive il risultato di un’immigrazione di massa in una determinata area in un Paese straniero. Allarmismo, superficialità ed eccesso di stereotipi hanno caratterizzato negli ultimi anni la stampa italiana riguardante l’informazione sull’immigrazione.

Per i giornalisti arriva la cosidetta “Carta di Roma” redatta dal Consiglio Nazionale dell’Ordine e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana in vigore dal 2008; un protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti .E’ un richiamo ai dettati deontologici e ai principi contenuti nelle norme nazionali ed internazionali, con particolare riguardo al dovere fondamentale di rispettare la persona e la sua dignità e di non discriminare nessuno per la razza, la religione, il sesso, le condizioni fisiche e mentali e le opinioni politiche.

Quindi l’osservanza dell’articolo 2 della Legge istitutiva dell’Ordine ad «adottare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire al lettore e all’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri».In sintesi si deve «evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte» richiamando l’attenzione «sul danno che può essere arrecato da comportamenti superficiali e non corretti, che possano suscitare allarmi ingiustificati, anche attraverso improprie associazioni di notizie, alle persone oggetto di notizia e servizio e di riflesso alla credibilità della intera categoria dei giornalisti».

Tra i doveri professionali richiamati non manca quello di «fornire al pubblico l’informazione in un contesto chiaro e completo», per faresì che l’enfasi di una singola vicenda non diventi la chiave di lettura complessiva del fenomeno. Sottolineata anche l’importanza della formazione: fare in modo che il tema “media e immigrazione” entri a far parte del bagaglio culturale dei nuovi giornalisti, inserendolo nei programmi delle apposite scuole di giornalismo.Obiettivo: il giornalismo italiano deve ritornare a livelli di qualità per essere al passo nel panorama europeo, cercando di andare oltre la prevalenza del linguaggio allarmistico che lo ha caratterizzato negli ultimi tempi.

Altro problema la sovrastima delle persone riguardante gli immigrati presenti sul nostro territorio, anche questo dato si può collegare al modus operandi dei mass media. Poi, nel parlare ad esempio di “emergenza”, “sbarchi” e “esodo” riguardante gli immigrati, va ricordato che una notizia più clamorosa incute anche ansia. La stessa cosa avviene anche con i migranti, quando si parla di “nuova ondata”, utilizzando parole che fanno pensare che si tratti di masse enormi di persone, sovrastime, fenomeno abbastanza curioso, che non si ritrova solo in Italia.


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